
La Psiconutrizione: un nuovo approccio integrato alla cura dei problemi alimentari che combina dimensione nutrizionale e psicologica
Perché un approccio integrato?
Il rapporto col cibo è una relazione complessa chiama in causa diverse dimensioni: psichica, corporea, nutrizionale. Quando questo rapporto si complica, tutte le sue dimensioni sono coinvolte ed entrano in crisi. Le tradizionali proposte terapeutiche si focalizzano, solitamente, su uno solo di questi aspetti, ma raramente li considerano nel loro complesso e reciproco interagire. Per questo motivo, abbiamo pensato a un metodo integrato, la “psiconutrizone”, in grado di agire sinergicamente e da più fronti sulla complessità del fenomeno.
A chi si rivolge?
La psiconutrizone si rivolge a chiunque intenda risolvere un problema nel proprio rapporto col cibo. Il metodo si dimostra particolarmente indicato nei casi di sovrappeso e obesità ma può essere applicato, valutando di caso in caso, anche nella sfera dei disturbi anoressici e bulimici.
Come funziona?
Il metodo propone un pacchetto di tre “visite d’inquadramento” che coinvolge differenti figure: il medico, per l’individuazione di eventuali intolleranze alimentari; la nutrizionista, per strutturare un percorso di rieducazione al cibo; lo psicologo, per un primo colloquio conoscitivo di valutazione cui segue una restituzione di quanto emerso. Conclusa questa fase si valutano, secondo il caso e assieme al paziente, i tempi e la frequenza dei successivi incontri, fissando di volta in volta gli obiettivi del percorso. Gli incontri si svolgono con nutrizionista e psicologo, visti singolarmente.
Il ruolo della visita nutrizionale
La figura professionale del nutrizionista ha lo scopo, attraverso un percorso di rieducazione alimentare volto a modificare gli stili di vita scorretti, di aiutare il paziente a gestire la propria alimentazione in modo sereno e senza ansie, con l’obiettivo di assicurarne il benessere psicofisico. La visita nutrizionale si svolge come segue: si procede con un’approfondita anamnesi alimentare dove si individuano i propri specifici “errori” alimentari; si passa poi alla valutazione dei parametri antropometrici, metabolici e della composizione corporea. Infine, si elaborano degli schemi alimentari ottimali e personalizzati sia in soggetti sani sia in quelli cui è stata diagnosticata una specifica patologia. In conclusione, il ruolo del nutrizionista è di dare coscienza alimentare al paziente e di garantire nel lungo periodo il raggiungimento gli obiettivi prefissati, ma soprattutto di mantenerli. Questa coscienza alimentare non significa soltanto “dimagrire”, ma acquisire una nuova armonia con il cibo, che ci permetta di gestire al meglio le nostre attività. Perché una sana alimentazione significa stile di vita più salutare, minore incidenza di tumori e di malattie cardiovascolari.
Il contributo dei colloqui psicologici
I colloqui psicologici sono parte essenziale del percorso, perché sempre le cause che disturbano la condotta alimentare s’intrecciano con fattori psicologici. Accade spesso, infatti, che nel rapporto col cibo si esprimano dinamiche che poco hanno a che fare col cibo stesso, quanto piuttosto con aspetti legati alla sfera emotiva, di compensazione o risarcimento relazionale, di ripetizione di schemi familiari appresi nel passato, oppure ancora di riempimento di vuoti motivazionali. Ecco perché le diete dimagranti, prese singolarmente, spesso non risolvono il problema: perché il conteggio delle calorie trascura in realtà le cause profonde degli attacchi di fame.
Tornando all’approccio proposto, il primo colloquio psicologico è d’inquadramento: si cerca di delimitare la dinamica psichica in rapporto col problema alimentare manifestato. A questo primo colloquio segue una restituzione di quanto emerso. In seguito, si valuta col paziente se, e con quale frequenza, continuare il percorso. Accanto a una funzione di supporto al percorso “nutrizionale”, la finalità dei colloqui psicologici è di aiutare la persona a comprendere le cause delle proprie condotte alimentari, in modo da lavorare per “sciogliere” questi nodi e renderla più consapevole del proprio rapporto col cibo.